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2020

Inizierò a scrivere su una falsa linea di semi auto ironia.

Cosa sto imparando da questo2020:

che i Maya non sanno fare bene i conti, che i dinosauri e i loro asteroidi mi spicciano casa, che la disfatta di Canne è roba da dilettanti etc etc etc.

Ma soprattutto che la battaglia più grande si è svolta nella mia testa e nel mio cuore, e che sto ancora combattendo.

Questo 2020 ha portato per me in dote un anno di RIVOLUZIONE radicale, di necessità di prendere a picconate il Karma accumulato in eoni di vite precedenti.

L’anno è iniziato arrancando sulle ferite di una grande lutto, nel 2019 è morta la mia Nonna.
e… non ho fatto i miei corsi di cucina, non ho improvvisato classi on line.
Non ho aggiornato il blog.
Ho vivacchiato sui social.
Non ho fatto yoga on line, né aperitivi a distanza.
Non ho elargito pillole di buon senso e ottimismo.
Non ho colto l’occasione.
Ho comprato tanti libri, quello si, ma è una costante per me.
Non ho fatto pulizie in casa, non ho seguito il metodo Marie Kondo, né cercato di usare al meglio la mole di tempo vuoto che dal nulla mi è gravata sulle spalle.

Anzi, il tempo mi ha fagocitata.

Il tempo l’ho riempito con gli attacchi di panico, che mi sono tornati in modo trionfale cantando la marcetta con tanto di fanfare dopo un paio di decenni di letargo.
Ho perso il 70% del mio lavoro, degli incassi, della fiducia in me stessa che avevo costruito da quando nel secondo decennio della mia carriera lavorativa (da 30 ai 40 anni) ho deciso di essere io il mio datore di lavoro. Mi sono mangiata le mani per aver lasciato due, si signori dico ben due, lavori a tempo indeterminato nel primo decennio della mia vita lavorativa ( dai 20 ai 30 anni).
Sì, esattamente, mi sono data alla dietrologia autolesionistica a masochista.

Ho avuto paura, ho immaginato catastrofi. Catastrofi apocalittiche.

E tutto questo mentre, volente o nolente, ho tenuto come cocci rotti tutti i pezzi insieme, per decenza e amore dei miei cari, perché comunque la vita va avanti nel suo quotidiano e non potevo rintanarmi sotto terra. Il quotidiano mi ha tenuta insieme, sbilenca ma intera.

E non mi sono arresa.

Per quel poco di amore che restava verso di me e per l’amore che ho per le persone che mi sono accanto.
Quello che mi ha salvata è stata la famiglia.
Io che per anni ho avuto un rapporto molto complesso con i miei genitori, io che sono una donna divorziata che ha cresciuto una bambina da sola, io che adesso ho un compagno, io che ho ricostruito una casa. Anzi La Casa, quella dove abita la mia Famiglia.
Adesso mi guardo indietro e vedo arrotolarsi uno dietro l’altro centinaia di giorni, e vedo me, una Martina piena di ferite che dice forse per la prima volta a se stessa: brava. Non perché sono sopravvissuta, ma perché ho capito che io, io che letico con me stessa un giorno si e l’altro pure, io che sono un giudice implacabile e severo, io che sono capace di sforzi eccezionali e battaglie epiche, ecco, io non mi arrenderò mai.

Io non mi arrenderò mai.

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